lunedì 15 dicembre 2008

ma perchè lavori gratis?

Mi sono sentita ripetere questa domanda molte volte. E sinceramente ho provato a rispondere in diverse maniere, ma non è facile. Non è facile capire che quando nasci come un Co-co-co (la gallina dalle uova d'oro dicevo) e diventi un progetto, anche il gratis ci sta. E' una logica nella quale vieni tirato dentro e per me 18 anni fa, ma anche fino all'altro ieri, il lavoro era qualcosa di sacro. Per cui ho fatto la bibliotecaria per il Comune nel quale vivo ma visto che non volevano pagarmi i contributi la sostituzione maternità è diventata una collaborazione Co-co-co. Con la speranza di tenermi il lavoro facevo gli straordinari gratuitamente. In effetti mi hanno tenuto altri sei mesi affidandomi ad un progetto sociale, ma quando la giunta è caduta, io sono caduta con lei.
E poi è arrivato il giornalismo. All'inizio sembrava un privilegio concesso, poter lavorare gratis per un giornale, ma siccome da subito, o meglio dopo i canonici 6 mesi, avevo messo dei puntelli hanno iniziato a pagarmi. Uno stipendio davvero da fame (ma avevo un figlio e il gratis al di fuori del volontariato non poteva più esistere). Ci ho messo praticamente 5 anni per arrivare a percepire qualcosa che assomigliasse ad uno stipendio mensile, chiaramente senza nessuna assunzione nè reale prospettiva di assunzione futura. Però, dovevo scrivere dai 30 ai 40 articoli alla settimana, coprire pagine per due edizioni settimanali. E respirare un'aria che mi faceva diventare una privilegiata, solo perchè mi facevano lavorare. In quel periodo davvero ci sarebbe mancato solo il lavoro alla rotativa o magari qualche pulizia e avrei raggiunto il top. Del resto alcune volte sembra che per una donna il lavoro sia solo lo stipendio che percepisce, la necessità di avere una cifra mensile aggiuntiva a quella del marito. Le cose non stanno proprio così e il lavoro non è solo lo stipendio a fine mese. Sei anche tu. Un lavoro come il mio, diventa molto più di una professione, è un abito mentale che fatichi a toglierti. Per 12 anni ho collaborato con quella testata e quando sono andata via, solo perchè finalmente il contratto agognato era arrivato da un'altra testata, il direttore è stato solo capace di liquidarmi in due minuti con una stretta di mano e un "di fronte ad un'assunzione non posso fare nulla".
A quasi 42 anni finalmente un contratto e la possibilità di sostenere l'esame di stato per passare nella categoria dei professionisti....peccato che dopo altri 6 mesi sia iniziato per me l'inferno del mobbing. Come uno specchio infranto, così il sogno del professionismo è andato a pascere. E da quei 40 articoli a settimana sono arrivata a collaborazioni gratuite, con pseudonimo. E poi progetti vari e collaborazioni Co-co-co. Insomma di nuovo il precariato, ancora più precario della mia prima esperienza giornalistica. Il contratto mi ha fatto lasciare un posto che avrei ancora oggi e paradossalmente mi ha gettato nell'abbisso del precariato in maniera più netta, cambiando in continuazione, cercando di arrabbattarmi, fino allo stop definitivo di oggi.
Per lavorare ho accettato logiche assurde, per le quali non andresti mai per vie legali (tranne nel caso del mobbing), perchè altrimenti "chi ti fa lavorare più". Sono le regole del gioco e te le fanno capire fin da subito, "o così o pomì" e tu le accetti, per amore della professione. Per fare un lavoro che nonostante tutto ti soddisfa. E ti accontenti di una collaborazione precaria con il quotidiano di sorta, anche se quasi devi convincerli con ogni mezzo a prenderti, e devi correre come un matto per dimostrare il tuo valore e le tue competenze. Ma lo stagista arriva in provincia in taxi, pagato dal quotidiano. Perchè questo rimane il paese delle conoscenze, dove se non conosci nessuno non fai proprio un bel niente. Ho hai tanti soldi, ma davvero tanti, per fare quello che vuoi e comprare in moneta sonante quello di cui hai bisogno, o hai le conoscenze giuste. Altrimenti rimani nell'ombra.
Io ho iniziato a scrivere romanzi e poesie, ho elaborato una tecnica di poesia visiva, ho anche pubblicato a pagamento perchè credevo di investire su me stessa...le strade si sarebbero aperte da sole. Peccato che quelle piccole case editrici pubblicano e poi non distribuiscono, il tuo libro va a finire al macero ad eccezione delle tue copie che ti sei comprato e hai distribuito a qualche biblioteca e all'interno della cerchia familiare. Io avevo talento per gli editor quando ero disposta a tirare fuori el dinero per la pubblicazione. Altrimenti....il fatto è che avrei avuto bisogno di un altro scrittore affermato che si facesse garante per me. Così una volta mi ha spiegato chiaramente Anna Del Bo Boffino. E quindi ho rinunciato. Per il giornalismo non ho mai mirato alle alte sfere, mi bastava il locale e uno stipendio mensile. Ma la piscina dove credevo di buttarmi era in realtà un oceano dove ti senti in colpa anche quando ti tagliano il compenso perchè pensi che l'abbiano fatto per qualche tuo errore e non perchè "volevano tagliare". In questa logica anche lavorare gratis diventa normale. Anzi più che normale.
Gli ultimi sei mesi ho lavorato gratis per esempio, ma non era la prima volta che accadeva. Ora però ho deciso di dire basta. Di mettere uno stop a questa logica assurda. E sono passata dalla categoria popolazione attiva a quella disoccupati. Un piccolo particolare, una semplice definizione, ma degna di nota perchè ti cambia la vita.

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