martedì 30 dicembre 2008

Un 2009 di particolari


Picture courtesy of Compagnia del Pollice

E invece i particolari sono importanti e dicono molte cose. Uno sguardo, una stretta di mano, un tocco. Per esempio le mani. Si dice spesso che gli occhi sono lo "specchio dell'anima" e infatti parlano ad un ascoltatore attento. Dicono molte cose. Ma anche le mani lo fanno. Possono essere più o meno curate, più o meno nodose, affusolate, quadrate. Con dita lunghe che si muovono svelte, o più lente e calme, come un tono di voce caldo e profondo. Raccontano della personalità di chi le porta e quando si muovono cambiano.
Le mani nello shiatsu diventano bellissime, qualsiasi tipo di mano sembra trasfigurare nella pressione e assumere una forma diversa. Le mani sanno raccontare quando si muovono, sono forti e portano con i loro i segni del tempo. E a seconda di come toccano, dicono alcune cose, senza bisogno di parole. Il gesto e il tocco sono particolari di un movimento. Sono come l'attimo che si fa eterno e per questo sono importanti. Sfiorare, accarezzare, toccare, premere e abbracciare, gesti caduti in disuso nel loro significato più profondo. Un contatto che spesso spaventa e dal quale ci allontaniamo una volta esternato. E invece sono proprio i particolari a fare la differenza, anche in un paesaggio: le creste delle onde del mare, più o meno increspate, ma anche quelle delle montagne, più o meno elevate. Il petalo di un fiore, il suo colore e un filo d'erba diverso dagli altri. Una voce fuori dal coro insomma. Come una immagine ben scattata, una fotografia capace di cogliere quel preciso istante.
Mi auguro e auguro a tutti che l'anno nuovo arrivi ricco di particolari, tutti da scoprire, da capire, da approfondire, per fare nostri. Un 2009 da vivere in modo intenso davvero, come un sospiro, un anno tutto da respirare da vicino. Come una salda stretta di mano. Quella che ci fa sentire simili, fratelli che non hanno paura di guardarsi negli occhi. Ma, soprattutto, un 2009 ricco di particolari da condividere. Per sentirci e sapere che siamo vivi.

lunedì 29 dicembre 2008

Un fantastico particolare





Picture courtesy of Compagnia del Pollice


Il freddo ha intrappolato il ghiaccio sui rami degli alberi.
Sembra una medusa presa in scacco dal bosco.
E' la foto di un amico, o presunto tale. Un particolare di un percorso geologico. Una semplice goccia d'acqua che si è fermata lì, immobilizzata dal freddo. Oppure una medusa, dipende da quello che uno ci vuole vedere, da quello che vuole sentire guardando.
Io guardo quella "medusa" fino a diventarne parte, in un viaggio sensoriale difficile da condividere perchè ci vogliono sensi attenti e voglia di partecipazione. E' un po' quello che mi succede di fronte ad un paesaggio, o quando vengo trattata. Io sono me e l'altro in uno stesso istante, io sono io e ciò che vedo o sento. E in un attimo divento ghiaccio e medusa intrappolata dal bosco, mi fermo anch'io per ascoltare il mio respiro diventando parte di quello che vedo. Divento l'occhio che ha osservato quel pezzo di ghiaccio da un obiettivo e dito che ha scattato la foto. Immagino i pensieri di chi ha voluto catturare quell'immagine. Torno indietro nel tempo e poi avanti. Parto per un non dove, seguo il ramo e le sue increspature bagnate, una ruga dietro l'altra. Lo faccio piano, per goderlo di più mentre mi perdo in tutto quel tempo che è passato, capace di aver ghiacciato e fermato. Mi perdo in quell'immagine bellissima di una goccia che non è più tale, che è diventata medusa. Che anela al mare e vuole tornare libera a navigare nell'acqua, ma che è bloccata a chilometri di distanza. Mi trasformo e guardo il ramo nodoso e bagnato, con un unico rimpianto: quello di volerlo gridare ad un mondo che sembra proprio incapace di capirlo. Quello di non riuscire a condividerlo.

domenica 28 dicembre 2008

Il Cervino

Io amo il Cervino. La sua maestosità mi ha conquistato dieci anni fa. E' la montagna "Carandache", per chi come me ha posseduto una scatola dei mitici pastelli quando era a scuola.
E' una montagna possente che si staglia contro l'azzurro del cielo, sempre intenso e spazzato da un vento piuttosto forte che non lascia spazio al respiro. Quei silenzi sono unici, quella catena montuosa che si allunga a pettine e sembra far solletico a qualche nuvola apparsa per sbaglio. Le temperature sono basse, molto basse. Ma quel silenzio e quello spazio ripaga di ogni fatica. Anche degli sbalzi delle diverse altitudini alle quali si può fare sport. A Cervinia si scia per ore, sembra di essere sulle Dolomiti, si arriva a 3.600 metri e si scende in paese, poi si torna sù e si può valicare la frontiera per andare a provare le piste di Zermatt. Ma a me piace stare in Val D'Aosta, in particolare qui a Valtournenche. Mi piace il contrasto del granito contro al cielo, la neve che al mattino presto si colora di rosa e le rocce che assumono un tono rossastro al tramonto. Il vento che fa mulinelli di neve e pennacchi sulle creste, il silenzio e il lago Blu ghiacciato, la grande diga che si può vedere quando si scende dal "Ventina". Un vento gelido davvero, altitudini da brivido e la pace che solo la montagna sa dare. Si dice che "la via del fare è l'essere" ed io ci credo fino in fondo. E proprio questo è il luogo dove poter essere. Sul Cervino che si staglia alto contro il cielo, senza nessuna fretta, nè parola in più, mai sopra le righe. Anzi, in perfetta intonazione, come una musica di Mozart. Come il rumore che fanno gli scarponi, quando si passeggia sulla neve. Come quello che fanno gli sci quando scendono una pista, senza fretta, con il piacere di farlo. Guardandosi intorno e respirando.

lunedì 22 dicembre 2008

Giornalismo e mobbing

Non è facile parlare di un'esperienza come il mobbing. Qualcosa che non augureresti al tuo peggior nemico. Non è facile parlarne perchè la cosa peggiore del mobbing è quella che credi di esserti inventato tutto, di aver esagerato la situazione.
Solo che proprio oggi qualcuno mi ha ricordato che non si sa proprio nulla degli altri, che giudicare dall'esterno è molto facile, troppo.
Le vessazioni rimangono, gli occhi e il respiro di chi ti ha mobbizzato appicicati al collo, qualsiasi cosa fai non va mai bene. Tutto da rifare, tutto da capo. Io mi credevo talmente tosta da avere superato tutto. Fino a quando mi sono accorta che in realtà avevo solo rimosso. Certo, ero in piedi, ma ci sono ferite che rimangono aperte e non riesci proprio a chiudere. Te le tieni e vai avanti. Che condizionano pesantemente il tuo modo di essere. Le mie successive reazioni in altre testate sono dovute a questa esperienza, ma anche di questo me ne sono accorta troppo tardi. Oggi certe cose non le rifarei, non avrei quel tipo di reazione, non me ne andrei di fronte ad un tipo un po' bislacco e un po' "fegatoso"che in realtà ti teme, come è successo al giornale di Desio, subito dopo l'Esagono. Ma quelle ferite sono ancora aperte e io ci convivo. Per quanto elaborato, il livido della botta rimane.
Quando sei un precario sei un po' anche uno zerbino. E quando ti assumono, non ti pare vero e quindi ti fai ancor più piatto e più zerbino. Ho resistito oltre 6 mesi. Sì perchè all'inizio il direttore mi adorava, ho perfino cambiato cellulare perchè mi telefonava anche 10 volte al giorno, e il mio telefono non prendeva bene. Mi adorava tanto che una volta mi ha detto che era "fortunato di avermi incontrato e per come lavoravo". Questo per i primi sei mesi, i successivi si sono trasformati in un incubo dove non c'era altro che lavoro e lui che mi vessava.
Non si è capito ( se non con la sucessiva assunzione della sua amica, quando io avevo rinunciato) perchè io non fossi più capace di fare nulla a suo dire. E quindi io, di risposta e per tenermi il lavoro, facevo esattamente quello che diceva, ma non andava ancora bene. Lavoravo sempre più e più in una spirale che mi toglieva tutto, respiro compreso. E mi sentivo un'inetta. Quando volevo avanzare lamentele, poi pensavo "ma no stai esagerando, lui lo fa per te!". E così, fino alla testimonianza davanti al giudice di un ragazzo che aveva lavorato con me. Devo a Gianluca molto più di quello che ha detto. Gli devo la lucidità mentale di aver capito che quell'esperienza l'avevo vissuta veramente e non era inventata. Finite le domande ha chiesto al giudice "posso aggiungere qualcosa?". E in quel momento, mentre lui raccontava, ho dovuto abbassare lo sguardo per il magone. Avevo un nodo in gola, un nodo liberatorio, non ero io l'inetta e il mio lavoro lo sapevo fare. Non ero un'inetta nè come giornalista, nè come persona.
Lavoravo dalle 14 alle 16 ore al giorno, ma nulla era fatto come doveva, secondo il mio direttore che in realtà voleva al mio posto una sua amica. E' arrivato a chiedermi se sarei andata in tipografia alle due di notte, dopo che lavoravo dalle nove di mattina. E lì mio marito Loris mi ha detto "ti spezzo le gambe" e ho capito che si stava esagerando. E' stata la prima volta che gli ho detto "no, non posso". Del resto non potevo rinunciare ad un'assunzione, era troppo importante. E quindi ingoiavo e ingoiavo, anche durante le ultime riunioni, quando mi umiliava di fronte a tutti. E' arrivato perfino a lanciarmi addosso un giornale. La sua violenza era pazzesca, mi toglieva il respiro.
Ma come raccontarlo? E' difficile, ci si sente frantumati si vede un'immagine riflessa errata. Ma per quanto ti affanni a correggere il tiro, non c'è niente che la cambi.
Non è per niente facile parlarne, è un'esperienza che ti devasta dentro. E per rimettere insieme i pezzi ce ne vuole. La cosa peggiore è che quando la racconti, per quanto poco tu riesca a dire perchè rivivere è doloroso, ti accorgi che chi ti ascolta non può davvero capire. Se non ci sei dentro non puoi davvero sapere cosa sia.
Io so però che da allora non riesco a vedere il film sul mobbing di Nicoletta Braschi, mi si chiude lo stomaco. Chissà perchè poi...e la causa legale è ancora in corso...

venerdì 19 dicembre 2008

Universo shiatsu


Picture courtesy of Compagnia del Pollice


Lo shiatsu è un Universo che ti si apre davanti per caso. Almeno, per me è stato così. E' stato un caso frequentare un corso base e scoprire la pressione perpendicolare e costante. Ma probabilmente non è stato un caso l'amore che ne è nato.
Lo Shiatsu è pressione perpendicolare e costante con l'uso del peso, ovvero non con la forza fisica ma con l'energia, la mia energia più profonda, quella concentrata in quella zona fisica addominale (due dita sotto e all'interno dell'ombelico) che di solito si chiama Hara. Ed è con la mia energia che curo l'energia dell'altro cercando l'equilibrio, ma soprattutto l'armonia.
Io appartengo alla scuola shiatsu Xin, Cuore. Noi ci approcciamo al ricevente con il nostro Cuore, un Cuore vuoto, perchè solo così, senza pensieri, riusciamo a cogliere la vera essenza della persona che è venuta da noi e la sua disarmonia. Solo con un Cuore vuoto le nostre mani sono in grado di percepire quello che devono fare, come devono muoversi e in quale direzione. Detto così sembra una cosa semplice, ma in realtà non lo è affatto. Ho parlato di Universo, perchè tale è e non ti basterà una vita per conoscerlo davvero. Lo shiatsu è legato alla Medicina tradizionale cinese e questo è un altro mondo che ti si apre davanti, tutto da esplorare. Ricerca, studio e pratica sono essenziali e interconnesse. La teoria non è nulla senza la pratica e viceversa. Richiede impegno e anni di percorso.
Ma sicuramente è un percorso etico. Per me è diventato la mia vita, sta per diventare in modo netto e preciso, la mia professione. Del resto se siamo qui è perchè abbiamo un destino da compiere. E se guardo indietro, gli anni dell'arazzo che fanno la mia vita, il centro del mio mandala riporta lì, alle persone, agli altri esseri, all'aiutarli a stare meglio, mentre anch'io provo benessere. E, come già per il giornalismo, alla fine diventa un modo di essere. Non puoi accogliere, imparare ad essere più consapevole di te stesso e degli altri, facendoti carico del dolore altrui, ampliando la tua sensibilità e poi, dimenticare tutto questo nella quotidianità.
Quello che non mi finirà mai di stupire nello shiatsu è che, solo toccando un'altra persona, io ne colgo l'essenza profonda. Capisco chi è e di cosa ha bisogno. E le mie mani si adeguano. Riuscire a condividere certe emozioni, sensazioni è qualcosa di incredibile.
Quando il Cuore è vuoto di pensieri, parole e vissuto, riesci ad avere la giusta proporzione delle cose e a scegliere, decidere per il meglio. Senti e tocchi, attivando i processi di autoguarigione. Ma il solo fatto di riuscire ad entrare in un contatto così profondo cohn un'altra persona è strabiliante. E quando questo contatto ingloba te e il ricevente nell'Universo, è pura energia vitale.

mercoledì 17 dicembre 2008

I famigliari del precario

Chi non ha mai avuto un contratto che possa chiamarsi tale, se non per via del pezzo di carta che contiene la precarietà, lo sa bene. I familiari non capiscono perchè ti ostini a rimanere in questa condizione, perchè "non cresci", perchè ti fai sottopagare, perchè ti comporti da zerbino.
Come se ci fosse davvero un'alternativa!
In realtà avrebbero bisogno di un sostegno psicologico. Il precario dopo un po' si abitua, entra nel giro e sa come funzionano le cose. Senza nessuna certezza, nè prospettiva, ma impara a mantenersi in equilibrio su un filo. Il vero problema sono loro, genitori, mariti e mogli, zii e suoceri. A loro sembra impossibile, dopo una laurea, dopo che hai studiato, ti sei sottoposto a tutti gli esami del mondo e alle prove della vita, hai lavorato gratis per un po', e poi come Co-co-co. "Cos'è andesso sta' storia del progetto?".
Un contratto giornalistico a progetto narra di tutto lo scibile umano al quale il lavoratore si deve dedicare. Alcune volte le diciture sono volutamente lasciate generali, così da non specificare nulla. Non hai orario, questo non vuol dire che fai quello che vuoi, ma solo che la tua giornata si allunga, compresa la settimana. Sette giorni su sette a orario variabile, dalle 12 alle 14 ore. Io ho provato a lavorare anche 16 ore di fila. Devi contribuire all'arricchimento dell'azienda, con articoli, recensioni, titoli, impaginazione, gestione delle informazioni e notizie, delle persone. Il tutto per 0,25 a battuta se va bene o per un fisso che non raggiunge lo stipendio di un operaio. Quando te la cavi raggiungi mille euro, quando sei un grande anche 1.200. E già, questi free-lance!!!
E alle spalle continui a sentire la voce dei parenti che ti incitano a cambiare lavoro...come se fosse facile! A trent'anni sei già fuori dal mercato.
Gli uffici stampa sono spesso in mano agli amici degli amici degli amici.
Non è affatto comico, tutt'altro. In un attimo passa tutto, anche gli anni e ti risvegli 40enne, con un bel contratto a progetto. E di free-lance ti rimane solo il nome, gli stipendi decenti, quelli rimangono all'estero. Però ci fai l'abitudine.
Se non fosse per mamma e papà che vorrebbero vederti sistemato....

martedì 16 dicembre 2008

Questo è il nostro paese

Eh già! Questo è proprio il nostro paese....ma come si fa a vivere in un posto dove una semplice operazione diventa una missione impossibile??
Abbiamo formato un'associazione che si occuperà di shiatsu. L'abbiamo chiamata "Contaminazioni", perchè non vogliamo stringerci in una categoria o idea e vogliamo invece contaminarci con altre realtà che si occupano di discipline bioenergetiche. Abbiamo fatto i seri e seguito tutto come si deve, con uno Statuto e un atto costitutivo.
Abbiamo fatto le operazioni necessarie per avere il condice fiscale (mezza mattina persa) e poter operare. Ma volevamo fare le cose ancora meglio, registrando l'atto. E quindi un'altra mezza mattina per avere le istruzioni del caso, compra i bolli, compila di qua e di là, paga le imposte e quindi via in banca, tieni tutti i documenti e recati di nuovo all'ufficio del Registro.
Una mattina in coda, ma si sa, quando entri in quegli uffici devi armarti di santa pazienza. Io mi guardo in giro, le persone sono molte e gli sportelli sempre pochi. Perchè però mi domando, in un'ora mezza un'impiegata ha seguito due utenti, quando il collega, nello stesso tempo, ha evaso 5 pratiche? Qual'è la differenza?
Bene finalmente arriva il mio turno e mi siedo con un sorriso. Lei guarda i documenti e poi mi fa "eh, ma mancano altri due bolli!". Eppure ho seguito le indicazioni alla lettera. "Ma io intendevo per ogni atto due bolli". Insomma, come la giri e come la volti....
Va bè, tornerò domani, perchè chiaramente in tutto il comparto Torri Bianche di Vimercate, dove ha sede l'ufficio delle Entrate, non c'è un tabaccaio dove comprare i bolli. Ci fosse almeno il parcheggio! E quindi anche lì, ti tocca usare il silos a pagamento.
Bene, mi dico, ma se uno è a digiuno di tutto, come fa? Ci sono mille ostacoli per far nascere una semplice associazione culturale, figuriamoci se uno vuole aprire un'attività! In questo paese, come ho già detto, o hai tanti soldi, tanti da permetterti un commercialista che si occupa di tutto, o affondi. Non puoi pensare di fare proprio niente. Anche perchè alla Camera di commercio ti dicono una cosa, in Internet un'altra, i professionisti un'altra ancora e infine all'ufficio Imposte hanno altre teorie. Quale seguire? Poi, per forza che uno si sente sempre in colpa. Tu cerchi di fare le cose fatte bene, in totale trasparenza, ma ognuno interpreta le leggi a suo modo e tutto, alla fine, dipende, da quale ufficio ti capita. Un po' come i medici, vai in fiducia, oppure inizi a girare come una trottola fino a quando non trovi quello che ti ispira. Ma certezza, chiaramente, nemmeno una. Eppure le leggi dovrebbero essere certe, anche se suscettibili di interpretazione.
Ci vuole tutta la pazienza del mondo, l'intraprendenza e la voglia di non mollare, di tenere duro a tutti i costi. Qualcuno una volta mi ha soprannominato Giobbe...

lunedì 15 dicembre 2008

ma perchè lavori gratis?

Mi sono sentita ripetere questa domanda molte volte. E sinceramente ho provato a rispondere in diverse maniere, ma non è facile. Non è facile capire che quando nasci come un Co-co-co (la gallina dalle uova d'oro dicevo) e diventi un progetto, anche il gratis ci sta. E' una logica nella quale vieni tirato dentro e per me 18 anni fa, ma anche fino all'altro ieri, il lavoro era qualcosa di sacro. Per cui ho fatto la bibliotecaria per il Comune nel quale vivo ma visto che non volevano pagarmi i contributi la sostituzione maternità è diventata una collaborazione Co-co-co. Con la speranza di tenermi il lavoro facevo gli straordinari gratuitamente. In effetti mi hanno tenuto altri sei mesi affidandomi ad un progetto sociale, ma quando la giunta è caduta, io sono caduta con lei.
E poi è arrivato il giornalismo. All'inizio sembrava un privilegio concesso, poter lavorare gratis per un giornale, ma siccome da subito, o meglio dopo i canonici 6 mesi, avevo messo dei puntelli hanno iniziato a pagarmi. Uno stipendio davvero da fame (ma avevo un figlio e il gratis al di fuori del volontariato non poteva più esistere). Ci ho messo praticamente 5 anni per arrivare a percepire qualcosa che assomigliasse ad uno stipendio mensile, chiaramente senza nessuna assunzione nè reale prospettiva di assunzione futura. Però, dovevo scrivere dai 30 ai 40 articoli alla settimana, coprire pagine per due edizioni settimanali. E respirare un'aria che mi faceva diventare una privilegiata, solo perchè mi facevano lavorare. In quel periodo davvero ci sarebbe mancato solo il lavoro alla rotativa o magari qualche pulizia e avrei raggiunto il top. Del resto alcune volte sembra che per una donna il lavoro sia solo lo stipendio che percepisce, la necessità di avere una cifra mensile aggiuntiva a quella del marito. Le cose non stanno proprio così e il lavoro non è solo lo stipendio a fine mese. Sei anche tu. Un lavoro come il mio, diventa molto più di una professione, è un abito mentale che fatichi a toglierti. Per 12 anni ho collaborato con quella testata e quando sono andata via, solo perchè finalmente il contratto agognato era arrivato da un'altra testata, il direttore è stato solo capace di liquidarmi in due minuti con una stretta di mano e un "di fronte ad un'assunzione non posso fare nulla".
A quasi 42 anni finalmente un contratto e la possibilità di sostenere l'esame di stato per passare nella categoria dei professionisti....peccato che dopo altri 6 mesi sia iniziato per me l'inferno del mobbing. Come uno specchio infranto, così il sogno del professionismo è andato a pascere. E da quei 40 articoli a settimana sono arrivata a collaborazioni gratuite, con pseudonimo. E poi progetti vari e collaborazioni Co-co-co. Insomma di nuovo il precariato, ancora più precario della mia prima esperienza giornalistica. Il contratto mi ha fatto lasciare un posto che avrei ancora oggi e paradossalmente mi ha gettato nell'abbisso del precariato in maniera più netta, cambiando in continuazione, cercando di arrabbattarmi, fino allo stop definitivo di oggi.
Per lavorare ho accettato logiche assurde, per le quali non andresti mai per vie legali (tranne nel caso del mobbing), perchè altrimenti "chi ti fa lavorare più". Sono le regole del gioco e te le fanno capire fin da subito, "o così o pomì" e tu le accetti, per amore della professione. Per fare un lavoro che nonostante tutto ti soddisfa. E ti accontenti di una collaborazione precaria con il quotidiano di sorta, anche se quasi devi convincerli con ogni mezzo a prenderti, e devi correre come un matto per dimostrare il tuo valore e le tue competenze. Ma lo stagista arriva in provincia in taxi, pagato dal quotidiano. Perchè questo rimane il paese delle conoscenze, dove se non conosci nessuno non fai proprio un bel niente. Ho hai tanti soldi, ma davvero tanti, per fare quello che vuoi e comprare in moneta sonante quello di cui hai bisogno, o hai le conoscenze giuste. Altrimenti rimani nell'ombra.
Io ho iniziato a scrivere romanzi e poesie, ho elaborato una tecnica di poesia visiva, ho anche pubblicato a pagamento perchè credevo di investire su me stessa...le strade si sarebbero aperte da sole. Peccato che quelle piccole case editrici pubblicano e poi non distribuiscono, il tuo libro va a finire al macero ad eccezione delle tue copie che ti sei comprato e hai distribuito a qualche biblioteca e all'interno della cerchia familiare. Io avevo talento per gli editor quando ero disposta a tirare fuori el dinero per la pubblicazione. Altrimenti....il fatto è che avrei avuto bisogno di un altro scrittore affermato che si facesse garante per me. Così una volta mi ha spiegato chiaramente Anna Del Bo Boffino. E quindi ho rinunciato. Per il giornalismo non ho mai mirato alle alte sfere, mi bastava il locale e uno stipendio mensile. Ma la piscina dove credevo di buttarmi era in realtà un oceano dove ti senti in colpa anche quando ti tagliano il compenso perchè pensi che l'abbiano fatto per qualche tuo errore e non perchè "volevano tagliare". In questa logica anche lavorare gratis diventa normale. Anzi più che normale.
Gli ultimi sei mesi ho lavorato gratis per esempio, ma non era la prima volta che accadeva. Ora però ho deciso di dire basta. Di mettere uno stop a questa logica assurda. E sono passata dalla categoria popolazione attiva a quella disoccupati. Un piccolo particolare, una semplice definizione, ma degna di nota perchè ti cambia la vita.

domenica 14 dicembre 2008

Finalmente domenica

Per i precari la domenica non è domenica. Chi lavora è spesso di turno, nel caso di un giornalista poi, non c'è domenica che tenga, si è sempre in servizio, per cercare di mantenersi il lavoro. Per i precari disoccupati come me, domenica è un giorno come gli altri. Uguale al resto della settimana. Ti guardi intorno e cerchi di capire quali briciole potrai raccogliere. Dopo 15 anni senza sosta, sul tavolo non rimane un granchè. Per tenerti il lavoro, ti sei perso gli amici e, a malapena, sei riuscito a tenerti la famiglia (quelli che di noi ci riescono). Come equilibristi su un filo, nel vano tentativo di tenere tutto sottocontrollo.
Il precariato è così, si allarga a macchia d'olio e colpisce tutti gli aspetti della vita. Quando poi ti lascia a piedi, allora prendi le distanze e ti accorgi che, forse, non ne valeva la pena. Di cose da fare ne hai parecchie, recuperi il tempo perduto e studi, leggi, inizi a navigare in rete (ricordi quando tutti ti prendevano in giro perchè non riuscivi nemmeno a rispondere alle mail?) e alla fine...arrivi al blog.
Eh sì, perchè tutto si risolve con un messaggio in bottiglia lanciato nel mare virtuale nel quale navigano ormai tutti i nostri rapporti. I nostri miseri rapporti. Per chi però, come me, coltiva il tocco attraverso lo shiatsu, la cosa ogni tanto si fa insopportabile. L'incomunicabilità che impera si fa insopportabile, la mancanza di reali rapporti interpersonali si fa insopportabile. "C'è sempre tempo per una birra" è il nome di un gruppo che naviga su Facebook....ecco quello che manca, una bella birra e un sano cazzeggiare con gli amici. Quattro chiacchere al tavolo, o davanti ad un bicchiere di vino rosso. Magari di fronte al camino, perchè no?
"Ma dai, è solo un lavoro!", facile a dirsi quando ce l'hai.
E poi il giornalismo non è un mestiere, ma un modo di essere. Non è solo lo scrivere, ma la notizia in sè, il cosìddetto "fuoco sacro" della professione che non ti permette mai di staccare la spina. Quando rimani senza, è perchè la spina te l'hanno staccata.
Stai un po' in apnea e poi riparti. Sempre sul filo, perchè quando sei un precario, lo sei nella vita e tutto sembra che possa interrompersi da un momento all'altro. Non è solo questione di certezze, è proprio vivere su un'altalena che vorticosamente fa avanti e indietro. Un giorno voli e quello dopo tocca sgonfiarti. Vivi davvero l'attimo, perchè solo quello esiste. Oggi prendi quattro lire, domani non lo sai. Questo mese è andata discretamente e il prossimo si vedrà.
Del resto, si dice sempre che il futuro è incerto....

sabato 13 dicembre 2008

per due amici

Quando muore un amico il dolore è forte e con lui muore una parte di te. E' come chiudere una porta. Ti manca la chiave per riaprirla e ti manca moltissimo. A me è successo di recente con Rossano, una forza della natura. Centocinquanta chili di vita che mi hanno dato una gioia immensa e tanta energia. Dipingeva con la stessa forza, i suoi gerani, i rossi carnosi e i lilla speciali. La luce dei suoi quadri e la sua capacità di capire che un amico aveva bisogno di tirarsi un po' su. Era passionale e unico, con un grande amore per il cibo e una vitalità pazzesca. Per raccontarlo ci vorrebbe tempo, come la sua pennellata pastosa e la sua cucina sempre aperta a tutti. La sua casa sempre aperta a tutti. Quando l'ho visto, completamente trasfigurato dalla morte, mi si è stretto il cuore. Non volevo ricordarlo così, volevo il suo bel viso, gli occhi chiari come l'acqua, il naso alla francese. E sono andata a tuffarmi in vecchie fotografie. Vent'anni insieme non sono pochi. Eppure lo sapevamo che sarebbe successo, ha vissuto al massimo, non ascoltando il suo corpo, ma godendosela fino in fondo.
Quando muore un amico il dolore è forte e con lui muore una parte di te, ma quando un amico ti tradisce, prendendoti in giro ripetutamente, allora quella diventa una porta sbattuta in faccia violentemente, sulla tua faccia. Ma è comunque una porta chiusa. Alla fine sei costretto a chiuderla e forse quello, non è mai stato un amico. Anche se non riesci a capacitartene. Non si possono cancellare momenti di condivisione, far finta che nulla sia mai nato nè esistito. La mancanza di tempo diventa la scusa imperante, per la nostra vita caotica, ma in realtà è una scusa, un diverso modo di chiamare la mancanza di voglia.
Quando non hai più curiosità per una persona, quando ti sembra che non abbia più nulla da dirti allora scatta l'operazione mancanza di tempo. Anche l'amicizia è un universo precario. L'impegno che richiede la fa diventare precaria e poco desiderabile.
Ma io non riesco a rientrare in una logica dell'usa e getta, in una dimensione dove il rapporto umano perde qualsiasi spessore e, quindi, anche significato. Le persone si usano e poi piangono la propria solitudine e l'incomprensione che il mondo riserva loro. Sempre pronte a puntare il dito sulle ferite ricevute e non su quelle inferte. Le parole sono banalizzate, svuotate e tutto è un attimo, ora ci sei, domani non lo so. Prima ti dico una cosa e poi il contrario, prima provo un'emozione e poi la cancello. Questo è il figlio di una cultura televisiva da "Grande fratello" che ci propinano da ormai 20 anni. E per quanto diciamo di essere progressisti e contro ogni genere di strumentalizzazione, ci siamo dentro fino al collo. Agiamo e ci comportiamo con gli altri come se nemmeno esistessero, senza nessuna capacità d'ascolto. Senza nessuna empatia, senza nemmeno un briciolo d'amore. Schiavi delle immagini che ci hanno risucchiato.
Cosa c'è di più importante di una persona? Un Cuore a Cuore capace di comunicare, questo è quello che conta veramente. Il tempo lo si trova e le occasioni si creano, perchè alla fine l'amicizia è un pezzo di percorso fatto insieme, un'occasione di crescita da non perdere. Anche se di tempo ne abbiamo sempre poco. Ma farlo diventare una scusa per chiudere una porta, è davvero banale e il dolore non cambia, nè diminuisce. Il tempo? Il tempo è una questione di scelte, il tempo lo abbiamo inventato noi.

venerdì 12 dicembre 2008

Picture courtesy of Compagnia del Pollice

Questa sono io con Tommaso, un coniglio coccolone. Un anno fa ho fatto da assistente ad un minicorso per possessori di Nigli, per imparare ad avere un contatto diverso con il proprio animale. Devo ammettere che quando mi è stato chiesto di farlo, mi sembrava una stupidata, gli animali non hanno bisogno di shiatsu, vivono già seguendo la Via molto più di noi, guidati dall'istinto e dal buon senso. Poi però...è stata un'esperienza davvero bellissima. A partire da Tommaso e dalla sua dolcezza. Quando l'ho preso in braccio mi sembrava di "romperlo", mi sembrava così delicato! La sintonia tra noi è nata praticamente subito, lui così coccolone e io pronta a coccolare. Trattarlo non è stato facile, il tocco e soprattutto i punti. Ma già durante le miei ricerche preliminari sulla fisiologia dei conigli avevo scoperto che ci sono veterinari che applicano l'agopuntura ai cani o ai cavalli. Non era un'idea così astrusa!
E' stato un diverso modo per entrare in contatto con un animale, per coccolarlo e ricevere da lui calore, amore. Ma rimango dell'idea che gli animali non abbiano bisogno di shiatsu. Gli uomini sì, il filtro culturale sociale che viviamo è diventato un muro all'interno di noi stessi. Siamo incapaci di riconoscere emozioni e sentimenti, di viverli e gestirli. Insomma, ci facciamo un sacco di problemi e ci complichiamo la vita. E poi ci ritroviamo addosso malattie e acciacchi. Entrare di nuovo in contatto con sè stessi e con gli altri, con l'Universo. Questo è il mio viaggio con lo shiatsu che è ormai parte integrante della mia vita. Il mio percorso è nato dalla mia precarietà, una precarietà che vedo rispecchiata in ogni risvolto quotidiano, in ogni rapporto umano. E sta trasformando la mia precarietà in una nuova possibilità, non solo professionale, soprattutto personale. Sta facendo diventare la mia vita più etica, un percorso sotto la guida degli Shen appunto. Perchè alla fine il traguardo da raggiungere è Xin. Semplicemente questo: un Cuore che sia vuoto e capace di ascoltare. Solo così è possibile comunicare.

perchè vita precaria

Quando sei un precario, per necessità e non certo per scelta, un giorno ti svegli e ti accorgi che tutta la vita è precaria. Il tuo lavoro non c'è più e tutto intorno a te inizia a scricchiolare. Ma ti alzi ugualmente dal letto e vai avanti.
Sono stata una bibliotecaria, una giornalista e tante altre cose. La mia professione è sempre stata precaria, con una piccola eccezione di un anno. Quindici anni di professionalità, per quanto precaria, e poi ti accorgi di avere ormai concluso il giro del cerchio. E' ora di chiuderlo. Vivo in provincia di Milano e sono stata una cronista locale, ho lavorato per tutti i giornali locali del territorio, on line compresi. Da 6 mesi ormai questo percorso sembra definitivamente concluso.
Sono una giovane precaria che ricorda ancora le parole di un vescovo africano: "dovete cercare la verità, sempre". E questo è quello che ho fatto con un rigore che ha risucchiato i miei giorni nel vortice del lavoro. Nel frattempo mi sono anche sposata e ho avuto due figli, li ho cresciuti tra una corsa e l'altra, con post-it attaccati ovunque in casa per non dimenticare nulla e il calendario pieno di appuntamenti. Un locale di casa mia è stato trasformato in miniredazione, per seguire meglio i miei figli. Ogni mattina dalle 9 iniziavo a girare, per trovare notizie, ovunque mi portasse la mia auto. E andavo avanti così fino a notte inoltrata. Quando si è cronisti, scrivere è davvero l'ultimo dei pensieri. Perchè le notizie vanno anche lavorate. Soprattutto quando ti specializzi in un settore e inizi a fare "primi piani". Io ho trattato di tutto, tranne lo sport, settore per il quale ho scritto qualcosa ma solo sporadicamente. Mi sono occupata in particolare di economia e sociale. Ho imparato ad impaginare, titolare, correggere. Ho gestito persone e redazioni. Sempre da precaria e con un sacco di rinunce nella sfera privata.
E da precaria quale sono, alla fine oltre ad essere stata sempre sottopagata, mi sono ritrovata a piedi. Non ho più un lavoro, non sono più una giornalista.
Non che questo mi assilli più di tanto, non ne potevo più di un ambiente cariato dove il pettegolezzo è all'ordine del giorno in compagnia della malafede. Dove i colleghi non sono mai "bravi", hanno sempre qualcosa che non va. Dove c'è la più totale incapacità di valorizzare le persone come risorse e dove alla fine la qualità e la verità sono le ultime cose che contano, perchè è più importante stupire con effetti speciali, magari mentendo anche un po'.
Però....tiro avanti alla grande, senza uno stipendio da mesi!
Non ho goduto della maternità nè avrò mai una pensione.
Alla fine vedi tutto precario, anche gli affetti, le amicizie, le parole che ti hanno detto.
Sì, sono una giovane precaria di 45 anni che sente parlare la Politica dell'inserimento dei giovani che non hanno futuro. Il mio futuro è qui e ora, ma ho la vista offuscata, perchè in realtà me lo hanno rubato tanti anni fa.