Reinaldo
Arenas – Arturo, la stella più brillante – 78 pagine. Cargo
edizioni
Questa
è poesia in forma di prosa. Non c'è alcun dubbio e devo
sottolineare come questo scrittore, scomparso a New York nel '90 a
causa dell'Aids, esule da Cuba, sia stato frainteso. Questo è un
breve racconto dedicato all'amico dello scrittore cubano, Nelson
Rodriguez Leyva, internato nei campi di concentramento per
omosessuali conosciuti ufficialmente come campi di aiuto alla
produzione agricola. Spesso si è detto che Arenas sia stato
perseguitato perchè scrittore, in realtà lo è stato in qualità di
omosessuale, mai accettato da una società che solo oggi sta
diventando meno omofoba, e non solo a Cuba direi. Non è tanto il
regime in sè che Arenas critica (ricordiamo che da giovanissimo si
era unito ai ribelli durante la rivoluzione), ma i metodi usati da
questo regime per reprimere l'omosessualità, ovvero le
incarcerazioni immotivate e il famoso “confino” degli anni '80,
con il quale Castro si è in un certo senso liberato da quelle
persone considerate malate di mente o, appunto, omosessuali. Del
resto tante cose sono cambiate dalla caduta del muro, dal '90, anno
della scomparsa dello scrittore cubano.
Arenas
è un ribelle e per questo si oppone a chi vorrebbe farlo vivere in
un altro modo, a chi vorrebbe che scrivesse altre cose, più che
altro che fosse un'altra persona diversa da quello che è. Non vuole
definizioni, nè schemi o suggerimenti di vita. Del resto ognuno di
noi è unico e non tutti riescono ad uniformarsi a schemi imposti o
vogliono essere definiti.
In
questo racconto, non viene utilizzato affatto un linguaggio barocco,
così come qualcuno ha detto, piuttosto si tratta di poesia pura in
forma di prosa. Ermetica a volte, e non afferrabile da subito. Ma
procedendo nel racconto, il lettore si accorge che c'è un gioco,
quello tra la realtà e il sogno, anche ad occhi aperti. Il modo di
Arenas per poter vivere è quello di “costruire”, ovvero
immaginare una realtà parallela nella quale si è liberi di essere
chi si è, senza nessun limite. E, soprattutto, attraverso la
scrittura la vita diventa più sopportabile.
E'
in questa realtà parallela che appaiono gli scherni anche della sua
famiglia di origine, perchè la sua omosessualità non è accettata
nemmeno dai fratelli o dalla stessa madre. E al contempo lo scrittore
cubano si identifica nell'amico Nelson tanto da far diventare questo
racconto ricco di particolari autobiografici, come se Arenas si
trasformasse in Nelson, ovvero in Arturo.
Ma
non è solo il regime a non essere accettato dallo scrittore che non
si vuole uniformare a nulla, anche gli stessi omosessuali compagni di
prigionia lo obbligano a “mossette e urletti, a sculettare e
ballare” e lui sente tutto questo come artificioso, come se ci
fosse uno schema da seguire nel vivere e nel comportarsi, solo perchè
si è omosessuali. Del resto esistono paesi, sicuramente non più a
Cuba, dove ancor oggi gli omosessuali vengono perseguitati
pesantemente, come per esempio in Jamaica.
Alla
fine del libro c'è una lettera nella quale Arenas spiega che l'Aids
gli impone di togliersi la vita perchè non gli dà più modo di
lavorare, ovvero di scrivere. Almeno in Usa nessuno lo ha
perseguitato per i suoi gusti sessuali diversi, si è sentito
libero, ma pur sempre esule, lontano dal paese nel quale avrebbe
voluto vivere. La chiusa della lettera è molto chiara: “Esorto
tutto il popolo cubano a lottare per la libertà. Il mio non è un
messaggio di sconfitta, ma di lotta e speranza. Cuba sarà libera. Io
lo sono già”, perchè è proprio nella morte che si realizza
quella libertà di essere che appare qui tracciata dai sogni ad
occhi aperti fatti da Arturo. Essere liberi di essere chi si è,
senza per forza sentirsi diversi, un diritto di ogni uomo, una
battaglia che ancora oggi si gioca su diversi fronti e in diversi
paesi.
Bianca
Folino