sabato 28 marzo 2009

Dignità autonome di prostituzione

Molto più che un multisala teatrale. "Dignità autonome di prostituzione", lo spettacolo di Luciano Melchionna in scena al Pierlomabardo di Milano, è un collage geniale di teatro interattivo, dove lo spettatore viene letteralmente trascinato, anche il più timido e schivo, a partecipare in prima persona alla recitazione.
Immaginato in un bordello, dove in ogni camera si svolge un monologo, è uno spettacolo che alterna la comicità alla drammaticità dei testi. Piece che fanno riflettere magistralmente portate in scena, o meglio in "camera" da attori di alta qualità e vero talento. Un giorno solo non basta per vederlo tutto, a partire dal fantastico cantante che apre la scena del bordello e che va avanti, brano dopo brano, intonazione dopo intonazione, per oltre tre ore. Sono più di 23 quadri ai quali lo spettatore è invitato a partecipare.
La genialità di questo spettacolo è quella di aver creato un'atmosfera familiare, calda e comica, coinvolgente. Capace di avvicinare lo spettatore al teatro, a quello vero, di qualità. E di renderlo partecipe anche, seguendo quello che Paolo Rossi aveva sognato qualche anno fa. Il fil rouge è l'ambientazione che fa camminare lo spettatore per tutto il teatro e durante le attese e le contrattazioni, entra in relazione con ogni personaggio e quindi con ogni attore che si muove all'interno di questa casa chiusa immaginaria e va a cercare il proprio pubblico. Non ci sono palcoscenici, nè divisioni, ma semplici stanze e sedie dove ammirare questi istrionici artisti. E non si pensi di poter uscire facilmente dal teatro per una sigaretta, occorre prima mascherarsi da "verginelle" e mettersi sul capo un velo bianco. Questo attira i curiosi che sono in strada, iniziano a porsi domande. Ed è proprio la curiosità, la molla che fa scattare il pubblico. Ogni sera ci sono oltre 200 presenze, c'è chi torna anche il giorno dopo, per vedere tutto. Chi è stato alla performance romana di un anno fa e che adesso si gusta quest'atmosfera milanese.
Assolutamente da non perdere poi il gran finale di famiglia, al piano terra, proprio vicino al bar dove ogni sera le danze partono e gli spettatori non se lo fanno chiedere due volte: iniziano subito a ballare.

martedì 24 marzo 2009

Comunicazione e linguaggi: prove tecniche di lezione ai liceali



La comunicazione è ciò che ci mette in contatto con il mondo. Noi non viviamo e non possiamo vivere isolati e il nostro relazionarci con l’esterno passa attraverso la comunicazione che è un processo di dare-avere, nel senso che non è univoca. La comunicazione però non è appannaggio dell’essere umano, anche gli animali comunicano e anche le piante lo fanno.
Quello che distingue l’uomo dagli altri primati è il linguaggio che è uno strumento della comunicazione e che l’uomo è stato capace di affinare fino al punto di farlo diventare una forma espressiva. Si pensi ai linguaggi usati nell’arte.
Ci sono vari tipi di linguaggio che dipendono da molti fattori. Cosa voglio comunicare e a chi? Da qui il come comunicarlo e quindi la scelta del linguaggio più appropriato. E’ diverso quando mi rivolgo ad un bambino, è diverso quando l’auditorium è fatto di studenti o di scienziati. Quindi l’adattamento del linguaggio è importante e dipende dal contesto, dal mio modo di essere, dal mio background e anche da cosa voglio comunicare. Pensate al rapporto con i vostri professori.
Il linguaggio è quindi molto importante come lo è la comunicazione, ma occorre avere consapevolezza perchè il mio messaggio sia ben indirizzato e non sia frainteso.
Esaminiamo alcuni tipi di linguaggio:
C’è il linguaggio corporeo che molto dice anche da solo ma che se inserito nel contesto di un discorso mi fa capire l’atteggiamento generale del mio interlocutore. E’ diverso se io vengo qui mi svacco sulla cattedra e inizio a parlarvi svogliatamente. Ma c’è anche quello della danza.
C’è il linguaggio scientifico quello utilizzato anche nei saggi o testi didattici che deve avere una certa autorevolezza. Le parole sono misurate e non c’è spazio per ammiccamenti o emozioni che non siano strettamente riferite all’oggetto.
C’è poi il linguaggio artistico, quello letterario, quello pittorico che utilizza le immagini come del resto quello scenografico o fotografico. Quello musicale che usa i simboli, cioè le note e riesce però a creare atmosfere evocative. Infine c’è quello teatrale e cinematografico che utilizzano varie forme di linguaggi per trasmettere un messaggio, cioè per comunicare. Si usa l’immagine (fotografia-scenografia), il testo cioè i dialoghi, le luci, la recitazione e quindi la corporeità.
La scelta del linguaggio quando vogliamo comunicare qualcosa è molto più importante di quello che pensiamo. Come l’utilizzo delle parole che hanno un senso ben preciso. Le difficoltà incontrate dalla cibernetica vertono proprio sul nostro linguaggio che è analogico e quindi in una frase noi possiamo racchiudere più significati, cosa che non è data fare ad un computer. Noi diciamo “Giochi a tennis?” e in questa domanda ci sono già più significati, può essere una richiesta di informazione, ovvero sai giocare, un invito. Ripensate al vostro rapporto con i professori. Quanti fraintendimenti si generano? Quindi è importante non perdere mai di vista ciò che voglio comunicare e a chi, dai quali dipende poi il come lo comunicherò.
Gregory Bateson, un antropologo, cibernetico e etologo, innovatore della psichiatria nel suo testo “Ecologia della mente” parla della teoria del “doppio-vincolo” o “doppio legame”, ovvero di come una comunicazione contraddittoria (tipica della nostra società) possa generare la malattia psichica (nel caso specifico da lui analizzato, la schizofrenia). Dobbiamo perciò essere consapevoli di tutte queste cose e imparare a comunicare nella giusta maniera, se vogliamo relazionarci con gli altri e con il mondo. Questo non vuol dire che non ci saranno relazioni conflittuali nella nostra vita. Il conflitto fa parte della relazione, ma può essere gestito e superato.

mercoledì 18 marzo 2009

Sono guarita

Credo nella circolarità degli eventi.
Credo che tutto abbia un senso, anche se non lo vediamo.
Che nulla accada per caso.
Credo che alcune storie meritino una possibilità.
Credo nell'oggi e non nel rimpianto.
Che la Mtc sia solo un modo diverso di chiamare le cose.
Credo nell'energia che poi è amore e vita.
Credo nella consapevolezza.
Credo nello shiatsu, in tutti i suoi risvolti.
Credo che ognuno sia un'unità formata da corpo e anima.
Credo che il corpo agisca sulla mente e viceversa.
Credo nelle emozioni che sono il sale della vita.
Credo nella volontà.
Credo nelle infinite potenzialità della mente che non conosciamo.
Credo che ognuno di noi abbia uno scopo.
Credo che la vita sia un Mandala che ti riporta all'origine.
Credo nell'autoguarigione.

sabato 14 marzo 2009

Canali o combinazioni di punti?



Ho assistito ad una lezione di Franco Pasi che da anni propone, insieme a Gianni Pizzati, una combinazione tra cranio-sacrale e canali straordinari. Una combinazione potente che arriva al cuore del problema in fretta, soprattutto quando questo ha radici in un blocco di tipo psicologico.
Mi sono tornate in mente le combinazioni di punti, tipo quella dei 4 cancelli denominata Siguan, o l'utilizzo dei canali straordinati. Trovo che siano tutti strumenti efficacissimi, a patto che si sappia esattamente come e quando utilizzarli, ma non devono essere presi per "scorciatoie".
In una terapia non esistono scorciatoie, il tempo di un trattamento dipende, come il numero dei trattamenti da fare anche se talvolta ci sbilanciamo con il ricevente. Ma obiettivamente io posso fissare un traguardo di 5 trattamenti, uno alla settimana, ma durante il percorso possono accadere cose che mutano totalmente il percorso. Io ho usato spesso i 4 cancelli e ho raccolto diversi dati in proposito. Proprio per questo so che non sono una scorciatoia, che non vanno bene sempre e con qualsiasi ricevente e che talvolta li utilizzo in un solo trattamento all'interno del percorso.
Lo stesso discorso vale per la combinazione proposta da Pasi e Pizzati. Sono convinta che talvola i percorsi terapeutici debbano necessariamente essere più lunghi. Forzare la mano in questi casi può essere controproducente. E soprattutto, se "faccio danni" devono essere in grado di rimmeterli a posto. Se forzo la mano su uno stato psicologico di un ricevente, posso creare uno scompenso. E allora non posso abbandonare il ricevente, devo per forza accompagnarlo sul sentiero che alla fine il mio agire ha creato. Ogni situazione e ogni persona fa a sè. Meritano quindi entrambe un'attenta valutazione, prima di qualsiasi decisione.

martedì 10 marzo 2009

A proposito di 8 marzo


"L'esistenza delle donne nella mente degli uomini è come un patio che dà sul retro. E l'esistenza delle donne sul lavoro è il patio sul retro della società, il luogo secondario".
Così scrive Marcela Serano in "Noi che ci vogliamo tanto bene" e io trovo che abbia pienamente ragione. Talvolta siamo noi stesse donne che ci ficchiamo in questo ruolo, più o meno consapevolmente. Le sue donne siamo tutte noi, in modo diverso e a latitudini diverse, ma non credo che ci siano altre scrittrici che hanno indagato l'universo femminile come ha fatto lei, come fa tutt'ora. Non credo che siano altre scrittrici che abbiano amato quello stesso universo come fa lei. Descrivendolo con dovizia di particolari, per farlo conoscere, agli uomini e alle stesse donne. Solitamente le scrittrici hanno tra le righe la forte voglia di combattere una "scrittura al femminile", vogliono dimostrare di essere pari agli scrittori. Marcela Serano no, si limita a descrivere e non si possono non amare le sue donne, qualcuna dalla storia oscura, altre più semplici, a volte banali. Sono donne che fanno un percorso, tutte, verso la consapevolezza di se stesse e del mondo. Il linguaggio scelto è quello delle donne.
Sono donne che soffrono, lavorano, combattono per avere dei riconoscimenti, combattono in prima linea nella politica, hanno una certa cultura, sono evolute, amano anche. E cercano la parità, in ogni virgola scritta, la cercano prima di tutto all'interno di se stesse.
Siamo noi, quelle donne e forse, sarebbe ora che iniziassimo ad amare prima di tutto noi stesse.

domenica 8 marzo 2009

Siamo solo giornalisti!



Perchè alla fine questo siamo, solo giornalisti! Anche se ogni tanto sembriamo averlo dimenticato.
Abbiamo facilità di scrittura e anche velocità e abbiamo imparato a raccontare quello che vediamo o ascoltiamo. Con parole semplici, in modo che tutti capiscano. Traduciamo per altri cercando di far conoscere cose che nemmeno noi conosciamo bene.
Questo è quanto. Anche se quando lo dimentichiamo ci ergiamo a giudici, dimenticando che, soprattutto ultimamente, siamo diventati degli schiavi. No che non siamo liberi di dire quello che vogliamo, perchè non abbiamo mai avuto un vero contratto, perchè da sempre siamo sottopagati e pagati poco a pezzo e dobbiamo scriverne moltissimi per avere una cifra mensile che assomigli ad uno stipendio. Perchè sembra che gli editori ci facciano un piacere a farci lavorare e non il contrario. Per cui non riusciamo mai a dare un morso alla mano che ci tende il pezzo di pane e per questo, senza una vera consapevolezza, stiamo attenti a quello che scriviamo. Per non scontentare nessuno. Oppure per ingraziarci l'editore che ci offre un contratto.
Poi, quando riusciamo finalmente ad entrare in redazione e ci sentiamo al sicuro, allora dimentichiamo di cosa sia fatto il nostro vero lavoro e non raccontiamo più nulla, ci limitiamo alla nostra patetica idea di odience e ci ergiamo a giudici, dicendo di essere super partes, quando non lo siamo mai. Fatti e sinteticità sono quanto di più lontano da noi.
C'è chi si aggira credendo di essere Il Giornalista, il Montanelli della situazione, ma alla fine ognuno di noi racconta solo ciò che conosce, un pezzo di territorio, un pezzo di Paese. Potremmo fare molto di più, è vero, se solo fossimo capaci di credere ancora. Di essere meno cinici e ritrovare fiducia nella Verità.

lunedì 2 marzo 2009

Perchè i sogni diventano fantasmi?



Ad un certo punto i sogni si fanno fantasmi. Perchè sono stati riposti in un cassetto. Però arriva un giorno in cui non ne possono più di stare conficcati lì e quindi fanno capolino.
Ci si accontenta di piccoli stralci, di una giornata diversa, di un momento particolare e un po' magico. Ma quello non è il sogno che hai sognato. E quindi continui a sentire quella compressione,il gruppo, la categoria, gli altri ti stanno stretti, perchè non puoi essere davvero se non vivi il sogno. Vorresti avere qualcuno a fianco per condividerlo, per osare e fare quello per cui sei nato.
Ma incontri altre ombre, con sogni diversi dal tuo e di nuovo cedi ai compromessi, richiudendo di nuovo quel cassetto. Del resto, con altre persone devi mediare per forza, solo che ti accorgi che le immagini viste sono diverse, che la cosa che stai facendo è diversa da come ti eri immaginato.
Alcune volte sono piccoli particolari che, però, fanno la differenza. Ma non potrò mai essere davvero finchè non vivrò appieno il sogno. Finchè il dovere sovrasterà tutto, le convenzioni sociali, le mediazioni e i compromessi.
Basterebbe così poco invece, per fuggire lontano e fare come la gabbianella. Perchè è proprio vero, "vola solo chi osa farlo".