lunedì 22 dicembre 2008

Giornalismo e mobbing

Non è facile parlare di un'esperienza come il mobbing. Qualcosa che non augureresti al tuo peggior nemico. Non è facile parlarne perchè la cosa peggiore del mobbing è quella che credi di esserti inventato tutto, di aver esagerato la situazione.
Solo che proprio oggi qualcuno mi ha ricordato che non si sa proprio nulla degli altri, che giudicare dall'esterno è molto facile, troppo.
Le vessazioni rimangono, gli occhi e il respiro di chi ti ha mobbizzato appicicati al collo, qualsiasi cosa fai non va mai bene. Tutto da rifare, tutto da capo. Io mi credevo talmente tosta da avere superato tutto. Fino a quando mi sono accorta che in realtà avevo solo rimosso. Certo, ero in piedi, ma ci sono ferite che rimangono aperte e non riesci proprio a chiudere. Te le tieni e vai avanti. Che condizionano pesantemente il tuo modo di essere. Le mie successive reazioni in altre testate sono dovute a questa esperienza, ma anche di questo me ne sono accorta troppo tardi. Oggi certe cose non le rifarei, non avrei quel tipo di reazione, non me ne andrei di fronte ad un tipo un po' bislacco e un po' "fegatoso"che in realtà ti teme, come è successo al giornale di Desio, subito dopo l'Esagono. Ma quelle ferite sono ancora aperte e io ci convivo. Per quanto elaborato, il livido della botta rimane.
Quando sei un precario sei un po' anche uno zerbino. E quando ti assumono, non ti pare vero e quindi ti fai ancor più piatto e più zerbino. Ho resistito oltre 6 mesi. Sì perchè all'inizio il direttore mi adorava, ho perfino cambiato cellulare perchè mi telefonava anche 10 volte al giorno, e il mio telefono non prendeva bene. Mi adorava tanto che una volta mi ha detto che era "fortunato di avermi incontrato e per come lavoravo". Questo per i primi sei mesi, i successivi si sono trasformati in un incubo dove non c'era altro che lavoro e lui che mi vessava.
Non si è capito ( se non con la sucessiva assunzione della sua amica, quando io avevo rinunciato) perchè io non fossi più capace di fare nulla a suo dire. E quindi io, di risposta e per tenermi il lavoro, facevo esattamente quello che diceva, ma non andava ancora bene. Lavoravo sempre più e più in una spirale che mi toglieva tutto, respiro compreso. E mi sentivo un'inetta. Quando volevo avanzare lamentele, poi pensavo "ma no stai esagerando, lui lo fa per te!". E così, fino alla testimonianza davanti al giudice di un ragazzo che aveva lavorato con me. Devo a Gianluca molto più di quello che ha detto. Gli devo la lucidità mentale di aver capito che quell'esperienza l'avevo vissuta veramente e non era inventata. Finite le domande ha chiesto al giudice "posso aggiungere qualcosa?". E in quel momento, mentre lui raccontava, ho dovuto abbassare lo sguardo per il magone. Avevo un nodo in gola, un nodo liberatorio, non ero io l'inetta e il mio lavoro lo sapevo fare. Non ero un'inetta nè come giornalista, nè come persona.
Lavoravo dalle 14 alle 16 ore al giorno, ma nulla era fatto come doveva, secondo il mio direttore che in realtà voleva al mio posto una sua amica. E' arrivato a chiedermi se sarei andata in tipografia alle due di notte, dopo che lavoravo dalle nove di mattina. E lì mio marito Loris mi ha detto "ti spezzo le gambe" e ho capito che si stava esagerando. E' stata la prima volta che gli ho detto "no, non posso". Del resto non potevo rinunciare ad un'assunzione, era troppo importante. E quindi ingoiavo e ingoiavo, anche durante le ultime riunioni, quando mi umiliava di fronte a tutti. E' arrivato perfino a lanciarmi addosso un giornale. La sua violenza era pazzesca, mi toglieva il respiro.
Ma come raccontarlo? E' difficile, ci si sente frantumati si vede un'immagine riflessa errata. Ma per quanto ti affanni a correggere il tiro, non c'è niente che la cambi.
Non è per niente facile parlarne, è un'esperienza che ti devasta dentro. E per rimettere insieme i pezzi ce ne vuole. La cosa peggiore è che quando la racconti, per quanto poco tu riesca a dire perchè rivivere è doloroso, ti accorgi che chi ti ascolta non può davvero capire. Se non ci sei dentro non puoi davvero sapere cosa sia.
Io so però che da allora non riesco a vedere il film sul mobbing di Nicoletta Braschi, mi si chiude lo stomaco. Chissà perchè poi...e la causa legale è ancora in corso...

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