sabato 6 luglio 2013

Quella scrittura che salva la vita

Reinaldo Arenas – Arturo, la stella più brillante – 78 pagine. Cargo edizioni

Questa è poesia in forma di prosa. Non c'è alcun dubbio e devo sottolineare come questo scrittore, scomparso a New York nel '90 a causa dell'Aids, esule da Cuba, sia stato frainteso. Questo è un breve racconto dedicato all'amico dello scrittore cubano, Nelson Rodriguez Leyva, internato nei campi di concentramento per omosessuali conosciuti ufficialmente come campi di aiuto alla produzione agricola. Spesso si è detto che Arenas sia stato perseguitato perchè scrittore, in realtà lo è stato in qualità di omosessuale, mai accettato da una società che solo oggi sta diventando meno omofoba, e non solo a Cuba direi. Non è tanto il regime in sè che Arenas critica (ricordiamo che da giovanissimo si era unito ai ribelli durante la rivoluzione), ma i metodi usati da questo regime per reprimere l'omosessualità, ovvero le incarcerazioni immotivate e il famoso “confino” degli anni '80, con il quale Castro si è in un certo senso liberato da quelle persone considerate malate di mente o, appunto, omosessuali. Del resto tante cose sono cambiate dalla caduta del muro, dal '90, anno della scomparsa dello scrittore cubano.
Arenas è un ribelle e per questo si oppone a chi vorrebbe farlo vivere in un altro modo, a chi vorrebbe che scrivesse altre cose, più che altro che fosse un'altra persona diversa da quello che è. Non vuole definizioni, nè schemi o suggerimenti di vita. Del resto ognuno di noi è unico e non tutti riescono ad uniformarsi a schemi imposti o vogliono essere definiti.
In questo racconto, non viene utilizzato affatto un linguaggio barocco, così come qualcuno ha detto, piuttosto si tratta di poesia pura in forma di prosa. Ermetica a volte, e non afferrabile da subito. Ma procedendo nel racconto, il lettore si accorge che c'è un gioco, quello tra la realtà e il sogno, anche ad occhi aperti. Il modo di Arenas per poter vivere è quello di “costruire”, ovvero immaginare una realtà parallela nella quale si è liberi di essere chi si è, senza nessun limite. E, soprattutto, attraverso la scrittura la vita diventa più sopportabile.
E' in questa realtà parallela che appaiono gli scherni anche della sua famiglia di origine, perchè la sua omosessualità non è accettata nemmeno dai fratelli o dalla stessa madre. E al contempo lo scrittore cubano si identifica nell'amico Nelson tanto da far diventare questo racconto ricco di particolari autobiografici, come se Arenas si trasformasse in Nelson, ovvero in Arturo.
Ma non è solo il regime a non essere accettato dallo scrittore che non si vuole uniformare a nulla, anche gli stessi omosessuali compagni di prigionia lo obbligano a “mossette e urletti, a sculettare e ballare” e lui sente tutto questo come artificioso, come se ci fosse uno schema da seguire nel vivere e nel comportarsi, solo perchè si è omosessuali. Del resto esistono paesi, sicuramente non più a Cuba, dove ancor oggi gli omosessuali vengono perseguitati pesantemente, come per esempio in Jamaica.
Alla fine del libro c'è una lettera nella quale Arenas spiega che l'Aids gli impone di togliersi la vita perchè non gli dà più modo di lavorare, ovvero di scrivere. Almeno in Usa nessuno lo ha perseguitato per i suoi gusti sessuali diversi, si è sentito libero, ma pur sempre esule, lontano dal paese nel quale avrebbe voluto vivere. La chiusa della lettera è molto chiara: “Esorto tutto il popolo cubano a lottare per la libertà. Il mio non è un messaggio di sconfitta, ma di lotta e speranza. Cuba sarà libera. Io lo sono già”, perchè è proprio nella morte che si realizza quella libertà di essere che appare qui tracciata dai sogni ad occhi aperti fatti da Arturo. Essere liberi di essere chi si è, senza per forza sentirsi diversi, un diritto di ogni uomo, una battaglia che ancora oggi si gioca su diversi fronti e in diversi paesi.

Bianca Folino

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