Banana
Yoshimoto – Amrita – 305 pagine
Feltrinelli
editore
Amrita
vuol dire l'acqua che bevono gli dei. Questo è il nome scelto dal
padre della protagonista che si trova ad affrontare un viaggio
all'interno di se stessa, dopo un incidente che le farà battere la
testa e, dopo essere stata tra la vita e la morte, perdere la
memoria. E' una storia complessa dove i personaggi sono
spiritualmente molto ricchi e il dialogo interiore non smette mai,
tipo flusso di coscienza. Il romanzo è scritto in prima persona ed
ha uno stile europeo, nonostante a fine libro ci sia un glossario per
alcuni termini giapponesi.
Un
viaggio nella vita di Amrita che ha percezioni di spiriti che
potremmo quasi definire extrasensoriali e che sono in realtà tipiche
della cultura giapponese. La spiritualità è intrinseca a queste
pagine dove la protagonista si trova a fare i conti con la morte del
padre, quella della sorella e una crisi che porterà suo fratello
minore ad essere una specie di sensitivo che comunica attraverso i
sogni. Amrita recupererà tutti i suoi ricordi, ma non per questo
soffrirà meno delle varie separazioni che inevitabilmente toccano la
vita di ognuno di noi. Le scene si svolgono in una casa dove le donne
sono in maggioranza: ci sono sua madre, un'amica della stessa, sua
cugina e suo fratello minore. E tra un'esperienza e l'altra, Amrita
si scoprirà innamorata del cognato che, subito dopo la perdita della
moglie partirà per un viaggio quasi perpetuo. Insieme andranno
nell'isola di Samoa dove gli spiriti sembrano prendere corpo ad ogni
angolo e dove una donna li calma attraverso il canto.
Ma
quello che emerge è quel dolore che si prova di fronte a qualcosa
che finisce, sia essa una storia d'amore o una vita. La separazione
è qualcosa che genera una frattura nella nostra vita, sempre e non è
così facile da superare. Ecco che in questo scenario gli odori e i
colori diventano veicoli di ricordi che riaffiorano, silenziosi modi
di comunicare delle menti. Non ci abituiamo mai alle separazioni.
Come non ci abituiamo mai davvero al cambiamento. Vorremmo che tutto
rimanesse qual'è, senza variazioni, ma sappiamo benissimo che non è
possibile.
Rimangono
indossolubili gli affetti, dei legami che non possono essere spezzati
da niente, così come il rapporto tra Amrita e il fratello fa capire.
Le
pagine scorrono veloci e piacevoli, come la vita così come ci viene
narrata da Yoshimoto, come se fosse un inarrestabile flusso. La
protagonista alla fine dice che in questo scorrere vitale, tutto
rimane uguale, ma in realtà non è proprio così. Nella vicenda di
Amrita quello che rimane uguale è proprio lei stessa, quindi ciò
che è costante, oltre al cambiamento, è proprio la nostra
centratura, ovvero il nostro centro spirituale. Che si nutre delle
nostre relazioni interpersonali, in particolare dei nostri affetti,
punti cardinali fondamentali del nostro essere, senza i quali, ci
perderemmo irrimediabilmente. Solo attraverso gli affetti riusciamo a
sopportare i distacchi a cui la vita ci sottopone e che in questo
libro vengono descritti come vere e proprie lacerazioni. Ogni
personaggio ha uno spessore psicologico profondo, che attira e
fidelizza il lettore in un certo senso.
E'
la religione delle piccole cose che riesce a farci sopportare la vita
al meglio, anche le grandi tragedie che a volte ci colpiscono.
Bianca
Folino
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