mercoledì 3 giugno 2009

La cultura dell'effimero

Ho letto il post di un amico, un pensiero di Paolo Longoni: "Internet è una rete che unisce milioni di solitudini". Mi ha fatto pensare, perchè è una frase vera, ma quanto lo è in realtà e quanto le persone vogliono essere sole? Perchè ogni tanto non escono, non si mettono in gioco?
Parliamo attraverso posta elettronica e bacheche virtuali, anche se stiamo a pochi chilometri di distanza. Ormai non usiamo più nemmeno il telefono, preferiamo gli sms.
Mi ritorna in mente il film "Gattaca", la perfezione e i figli dell'amore. Una perfezione che non può esistere se ciò che ci rende umani è il nostro limite (ma è anche ciò che ci fa unici), e un amore che è contatto, occhi dentro ad altri occhi, parole dette e non scritte, ascolto. Ma uscire e mettersi in gioco, vuol anche dire scoprirsi, togliersi ogni abito (ormai sono tutti un po' smessi) inventato, ogni ruolo giocato. Ed essere, farsi coinvolgere anche, partecipare. Essere.
Io non sopporto questa cultura dell'effimero che dilaga. E' più forte di me, non ci riesco. In questo periodo poi, di campagne elettorali cavalcate selvaggiamente e a pelo, non c'è parola che meriti questo nome.
Non esiste più nulla di reale, concreto, le persone trascorrono gran parte del loro tempo in rete, una rete che spesso intrappola anzichè accorciare le distanze. Che dà emozioni effimere e sogni ancor più effimeri. Sogni e desideri che svaniscono nel post successivo. Come fossero una grande bugia, ma allo stesso tempo come se ci dessero la forza di rimanere dove e come siamo. Come se cambiare fosse un delitto, un peccato da scontare. Come se, cambiare per il meglio, non fosse più un anelito umano, ma qualcosa da nascondere, un istinto primordiale da reprimere. Una rete che non lascia spazio se non al ritornare di un sentimento di solitudine che si fa sempre più vasto e che, quasi ogni giorno ormai, percepisco sotto alle mie mani.

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